Internet, i social network in particolare, sono vissuti
dalla maggior parte delle persone come spazi di libertà, luoghi dove si può
dire ed essere tutto ciò che si vuole. La rete, per sua natura, tende ad
accogliere l’individuo in una sorta di realtà virtuale, lontana dai problemi,
dai dolori e dalle responsabilità della vita reale. Una sorta di second life
dove i sogni si affrancano dalla vita di tutti i giorni. Ma è un’illusione.
Pericolosa. Lo dimostra il fatto che il numero e la gravità dei reati commessi
in rete, continuano ad aumentare, anche se due terzi delle persone che
subiscono un attacco, almeno in un primo momento, nemmeno se ne accorgono.
L’anonimato, la gratuità, il superamento delle barriere spaziali
portano molti a pensare "su internet
faccio quello che voglio". Non è così: la giurisprudenza, che solo pochi anni
fa vedeva la rete come un fenomeno difficile anche da capire, ha ormai elaborato,
e sta cominciando a definire e ad applicare in modo sempre più convinto, una
serie di reati legati proprio all’abuso degli strumenti informatici. Sono stati
così identificati nei loro profili giuridici i reati di molestie via Facebook,
di atti persecutori a mezzo social, di diffamazione sulla bacheca virtuale, di
falso profilo, di pedopornografia, di cyberstalking, di gogna digitale e così
via. E non si è mossa solo la giustizia penale, anche i giudici civili hanno
ormai precisato percorsi tipici in grado di perseguire le condotte illecite
attuate in rete.
L’illusione che basti un nickname per garantire il proprio
anonimato è dura a morire, ma non ha fondamento. Chi entra in rete è sempre
rintracciabile. Il Far west è finito. Di fatto, chi ha la forza di rivolgersi
alla giustizia riesce ormai a trovare qualche risposta concreta.
Gli stupefacenti progressi delle tecnologie informatiche
tendono ad abbagliare, invitano ad abbandonare il senso critico e i freni
inibitori. Internet ha un’aureola da paese dei balocchi dove tutto è facile, il
soddisfacimento immediato. Non tutti si rendono conto che spesso l’informazione
gratuita spacciata in rete non è altro che pubblicità camuffata. Oppure che le
interazioni tra gli utenti dei social network, apparentemente del tutto
spontanee, possono essere manipolate dagli uffici stampa delle aziende che
devono presentare nel miglior modo possibile i propri prodotti e nel peggior
modo possibile quello dei loro concorrenti.
Anche dietro il dibattito politico che si sviluppa sui siti
o sui social si celano talvolta istituti specializzati nel pilotare le ondate
emotive, con l’obiettivo di massimizzare il consenso per i propri committenti.
Una delle attività più lucrative è raccogliere (o rubare) i dati personali per
poi ordinarli e rivenderli a caro prezzo come liste di utenti profilati. La
truffa, il raggiro, la menzogna, la falsificazione sono online 24 ore su 24. Lo
schermo del computer o dello smartphone può creare dipendenza da una realtà
consolatoria ma irreale, affievolire il senso critico, disabituare all’uso
della memoria, perché tanto c’è la rete che ricorda tutto. Al di là dei reati
che, magari in modo non del tutto consapevole, si possono commettere o subire,
è proprio questo il punto più delicato.